Attraversando luoghi intimi tra memoria e futuro (aprile-maggio 2020)
Poem from the future è stato pubblicato nel 2021 su Ghost Book #6.
Il lavoro è stato esposto nello stesso anno presso le gallerie Riccardo Costantini Contemporary, Torino e Il Fondaco di Silvana Peira, Bra.
Rassegna Stampa
Artribune – 13/06/2021
Per la pubblicazione su Ghost Book #6 il poeta Guido Turco ha scritto il testo:
Signs a Ghost is Near
Con potentissima noncuranza Giorgio Racca non dice la verità.
Intitola i lavori (liquori forti & trinitari: padre, madre, figlio).
S’incarica del futuro ma la trama è il passato. L’ordito sono ipotesi, ipostasi tutte (s)fondate sulla non verità: “la mémoire aime chasser dans le noir” (et blanc).
Se volete la verità, distogliere lo sguardo: Giorgio Racca contrad-dice ogni verità.
Nel suo Poem, the future doesn’t live here anymore, non appartiene alla fotografia, se ogni scatto è tempo congelato (la fotografia, incapace di cogliere il movimento nacque come iconismo post mortem. Fissare i cadaveri permetteva alle famiglie di conservare un’immagine della persona scomparsa e al fotografo di farla ricomparire in “un’eternità distante”), ritrova una nuova presenza nel momento in cui essa è vista, veduta, rivista.
Non inganni la purezza estetica, la compostezza del paesaggio, gli arredi gli oggetti gli interni: specie di spazi attivati senza ulteriorità, per descriverli analiticamente e con una patina di fredda distanza, la visione di Giorgio Racca “era” questo Future.
Quello che affascina è che tra autentico e inautentico, tra sublime e prosaico, il fotografo riesce a evitare ogni contrapposizione troppo netta e schematica. L’ambientazione è consueta nel senso classico del termine, quindi ordinaria, usuale, solita. Il genio di Racca consiste nell’estrarre dal consueto della vita il sublime della lirica; ma questo sublime non è mai del tutto separato dalla farsa triviale che gli fa da sfondo: il poema del padre dimenticato, della madre svanita, e del figlio che si disincarna nelle foto. Per scomparire. Non più realismo, non più discorso sulle cose come sono, ma solo come vengono pensate.
Pensate e riproposte non “con” ma “nel” senso della composizione… figure sedate come leoni dentro uno zoo virtuale… squarci di prospettive, di luce naturale diffusa e impersonale alternate a interni umbratili e spopolati, evidenze anch’esse che (si) sfumano nell’incerta misteriosità in cui, chi li abita(va), dovrebbe viverli questi posti. Fantasmi, finalmente.